Aggiornato al 20 ottobre 2020
Il primo insediamento della "manifattura tabacchi" fu realizzato, nel 1786, da Girolamo Manfrin (1742-1802), fra i rii di Sant'Andrea e delle Burchielle, un'area libera, privilegiata dall'espansione industriale e portuale ottocentesca per l'affaccio di questa zona di Venezia verso la terraferma.
Manfrin fu l'ultimo appaltatore dei tabacchi della Repubblica di Venezia, possedeva circa 1100 ettari coltivati a tabacco all'epoca.
Anticamente la lavorazione del tabacco avveniva a Venezia in corte Gregolina, vicino la Madonna dell'Orto, dove esisteva anche uno spaccio pubblico. La lavorazione poi fu portata presso la fondamenta di Cannaregio, nella zona delle Penitenti (a quel tempo l'ultimo tratto della fondamenta di Cannaregio si chiamava proprio fondamenta de le Penitenti).
Questi due luoghi, come quello individuato dal Manfrin, si collocano sulla parte di Venezia che si affaccia verso la terraferma.
La zona prescelta era il "cao de Venesia", cioè il capo, l'estremità occidentale della città. Nel XIV secolo questa zona era bassa e paludosa, come ci testimonia ancora nel 1500 la veduta di Venezia "a volo d'uccello" eseguita da Jacopo de' Barbari. Indagini archeologiche hanno portato alla luce tracce del materiale usato per la bonifica (cocci di ceramica, pietre, marmi, frammenti lapidei e così via).
Il progetto della fabbrica pare sia stato affidato all'architetto Bernardino Maccaruzzi (1728 circa-1800), allievo di Giorgio Massari (1687-1766), al quale si devono il rifacimento della facciata della chiesa di San Rocco, della Scuola della Carità e del Duomo di Mestre.
La fabbrica aveva le caratteristiche di una villa veneta con una barchessa: nell'ampio cortile venivano messe ad asciugare le foglie di tabacco e tutto attorno si aprivano i locali per le macine, i forni di essiccazione, i laboratori.
Quando il governo della città di Venezia cadde sotto il dominio francese prima e quello austriaco poi, la manifattura continuò a rimanere attiva e venne ampliata e ristrutturata dagli ingegneri e architetti Giuseppe Mezzani e Antonio Zilli attorno al 1820.
Risalgono a questi anni il timpano sopra l'ingresso della manifattura, l'orologio, e la campana che segnava gli orari di lavoro ed il passaggio aereo con loggiato sul rio de le Burchielle che collegava il complesso con gli altri edifici eretti sulla riva opposta.
Nel 1884 il Ministero delle Finanze razionalizzò la produzione, introdusse nuovi macchinari per le sigarette e disciplinò le confezioni dei sigari, l'introduzione del lavoro a cottimo portò un notevole aumento della produzione.
Il tabacco arrivava greggio in balle e veniva trattato e trasformato in sei diversi reparti che corrispondevano ad altrettante fasi di lavorazione (apprestamento, formazione sigari, tabacco da pipa, tabacco da fiuto, sigarette, recupero scarti), quindi impacchettato e spedito.
La figura professionale più rappresentativa era la "sigaraia" (detta tabacchina). Le sigaraie entravano in Manifattura giovanissime, lavoravano in grandi saloni, sedute ai due lati di grandi banconi. I sigari "Roma" i più piccoli, i "Toscani" i più grossi, i "Virginia" lunghi e con la paglietta all'interno. Nel 1887 nella manifattura tabacchi lavoravano 1741 persone, delle quali 1536 erano donne.
Dalle file delle "tabacchine" ad esempio proveniva Anita Mezzalira (1886-1992) che assunta a 15 anni, fu antifascista prima, sindacalista dopo, e nel 1948 fu il primo assessore donna della storia del Comune di Venezia.
Oltre alle abitazioni popolari realizzate nelle vicinanze della manifattura, nel 1877 fu aperto dal conte Giovanni Battista Giustinian (1816-1888), senatore del Regno d'Italia, un asilo "per lattanti e slattati" riservato ai figli delle tabacchine.
All'ingresso della fondamenta che porta alla manifattura c'è un cancello ancorato a due colonne che erano abbellite da due palle di pietra (oggi le palle in pietra sono purtroppo scomparse). A questo cancello, si dice, è legata la nascita di un modo di dire tipicamente veneziano: "fora dae bae".
Dopo il suono della campana che segnava il tempo per l'entrata degli operai e delle operaie in fabbrica il cancello veniva chiuso e i ritardatari rimanevano chiusi fuori, cioè «fora dae bae» (fuori dalle palle). Questo modo di dire potrebbe anche essere nato come sinonimo di libertà, e cioè finito il turno di lavoro, l'essere "fora dae bae", significava aver finito di lavorare.
La manifattura cessò ufficialmente l'attività il 1° gennaio 1997 per venire trasformata in una Cittadella della Giustizia, accorpandovi gli uffici giudiziari sparsi nella città.
Alle tabacchine veneziane Riccardo Selvatico (1849-1901) dedicò una poesia nella quale, con vivacità, descrive il vociante passare di prima mattina di queste donne che vanno al lavoro.
Bate quatro e za scominzia
Nel silenzio de la strada,
Fin alora indormenzada,
A sentirse da lontan
Come un susio, che in distanza
Da principio xe confuso,
Ma che ingrossa, che vien suso
Co' una furia de uragan.
Le xe lore, za le ariva,
Za le spunta, za in t'un lampo
Case, strada, ponte, campo,
Tuto introna de bacan.
Le ze lore, le ze tose,
Le ga el viso fresco e tondo,
Le vien via sfidando el mondo
Imbragae de zoventù.
Zavatando per i ponti,
Le vien zoso a quatro in riga,
Par che a tuti le ghe ziga:
Largo, indrio, che semo nu!
Za la zente su le porte,
Sta a vardar la baraonda,
Che infuriando come un'onda,
Urta, spenze e passa in là.
A questi versi si è ispirato Felice Castegnaro (1872-1858) con un famoso quadro, "Le tabachine". Il quadro, fu esposto per la prima volta alla V Esposizione Internazionale d'Arte di Venezia del 1903, e venne fotografato nel 1905 da Tomaso Filippi (1852-1948). Così venne descritto nel 1903: "...le belle ragazze scendono il ponte con quel fare civettuolo e spavaldo, con quell'agilità, con quel brio, con quella sprezzatura birichina di scialli e di capelli che le rendono tanto seducenti e amabili".
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